Avremmo voluto scrivere un pezzo sulle sanzioni sportive che sono piovute sulla Russia e lo sport russo in seguito alla decisione di Putin di invadere l’Ucraina. Difficile starvi dietro, perché la situazione ancora evolve giorno per giorno e abbiamo voluto evitare un elenco che sarebbe diventato immediatamente vecchio, e del resto esiste un eccezionale archivio che segue quotidianamente la vicenda, il gruppo facebook Sport, cultura e politica, il cui agitatore è Nicola Sbetti. Allora abbiamo preferito cambiare il taglio e tentare di capire se l’utilizzo delle sanzioni nello sport abbia un senso, sia utile ai fini della diplomazia e della pressione che gli sportivi possono (devono?) esercitare sul proprio governo per porre fine alla guerra. Sinceramente non crediamo che lo sport abbia questo potere, anche se non mancano esempi storici di diplomazia sportiva, una diplomazia che, però, ha operato in tempi di pace per renderla più duratura.
Diciamo, piuttosto, che se la, ipocrita, neutralità dello sport era ridicola prima, adesso lo è ancora di più. Possiamo dire che, alla fine, non è mai esistita, nonostante le continue prese di posizione in merito di Cio e Fifa, tra gli altri. La fantomatica neutralità dello sport è servita solo a portare avanti eventi che altrimenti si sarebbero fermati, una scusa per far credere che praticando le discipline più svariate sia più facile scambiarsi un segno di pace, quando tutto intorno è un gonfiare petti tra bandiere, inni nazionali e pure divise che nascondono quelle militari. Eppure ci sono stati, nella storia dello sport, episodi di genere opposto, i quali farebbero pensare all’inutilità di sanzioni e boicottaggi, sia sportivi che diplomatici e, anzi, all’utilità della pratica sportiva quale veicolo di confronto e fratellanza, insieme con l’aura di una diplomazia terza, capace di smuovere, in positivo, gli equilibri internazionali.
Secondo la rivista